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Le corazzate austro-ungariche nel porto di Pola |
Imbaldanzita dall'affondamento della corazzata
Szent Istvan (10 giugno 1918) la Regia Marina pianificò un'azione ancora più clamorosa: colpire la marina austro-ungarica all'interno della sua base, il munitissimo porto di Pola. L'azione, lungamente preparata, si svolse la notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre 1918. La guerra stava per concludersi e l'esercito austriaco era ormai sconfitto, ma la Marina voleva terminare le operazioni con un' ultima brillante impresa. Agli alti comandi italiani forse non era ignoto il fatto che a Pola la situazione si faceva sempre più difficile: i marinai provenienti dai diversi territori del morente impero (cechi, ungheresi, sloveni, croati, ma soprattutto istriani e dalmati) non volevano più combattere e davano segni di una crescente insofferenza a stento contenuta dagli ufficiali che, per mantenere l'ordine, spesso consegnavano gli equipaggi sulle navi. Ad ogni modo, la missione fu affidata a due ufficiali del genio navale: Raffaele Paolucci e Raffaele Rossetti. Paolucci e Rossetti riuscirono a penetrare nel porto di Pola a cavalcioni di una
mignatta, una sorta si siluro a motore dotato di cariche esplosive. Aiutati dalle tenebre raggiunsero la corazzata
Viribus Unitis ("Viribus Unitis!" era il grido di battaglia della marina austro-ungarica) e applicarono le cariche esplosive magnetiche sotto la linea di galleggiamento della murata. Mentre stavano per allontanarsi, furono illuminati dal fascio di un proiettore elettrico. Presi prigionieri, vennero portati a bordo proprio della
Viribus Unitis. Trascorsa qualche ora chiesero di parlare con il capitano e gli dissero che la nave era minata e che provvedesse a mettere in salvo l'equipaggio. Resosi conto che non c'era più nulla da fare, il comandante ordinò l'abbandono della nave. L'ora prevista per l'esplosione passò senza che nulla accadesse. Il capitano, credendo che gli italiani l'avessero ingannato, ordinò il rientro a bordo. Un'atroce fatalità volle che le cariche esplodessero proprio quando l'equipaggio aveva fatto ritorno sulla
Viribus Unitis. Lo scafo fu squarciato dalle detonazioni che raggiunsero anche il deposito delle munizioni. Colpita, la nave si piegò su un fianco per poi affondare. Nella tragedia morirono 400 marinai, compreso il comandante.
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